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Insieme a diverse novità sul fronte del lavoro, se il Decreto Stabilità 2015 diventerà legge senza grandi stravolgimenti al testo originale (come pare), a cambiare saranno anche le modalità di lotta all'evasione fiscale. Il governo Renzi, infatti, ha intenzione di recuperare gran parte della copertura finanziaria della manovra dal flusso di denaro e dai capitali 'sconosciuti' all'Agenzia dell'Entrate, puntando forte sullo spesometro. Il sommerso non si contrasta "con la multa al cliente che esce dal negozio, ma con l'incrocio della banche dati", ha dichiarato il premier, lasciando anche intendere che a preoccuparsi dovranno essere soprattutto i grandi evasori e non tanto - o perlomeno non solo - i piccoli contribuenti. Chi infatti ha compiuto errori nella dichiarazione dei redditi e/o si è reso colpevole di omissioni, dimenticanze e ritardi sarà messo nella condizione di saperlo e di provvedere a sanare la propria posizione per tempo. Partendo dal presupposto della buona fede e facendo leva sulla cosiddetta moral suasion, la nuova strategia del Fisco prevede la possibilità per i contribuenti e gli operatori e gli intermediari autorizzati di verificare i dati relativi alla situazione finanziaria propria e dei clienti in possesso dell'Agenzia delle Entrate. Accedendo da una specifica sezione su agenziaentrate.gov.it, i cittadini potranno dunque effettuare autocontrolli sulle informazioni relative a reddito, volume d'affari, compensi, ricavi e spese contenute nell'Anagrafe Tributaria. Una scelta di trasparenza, che se da un lato vuole incentivare i contribuenti a dichiarare il vero, dall'altro permette a chi sbaglia e a chi si 'pente' di rimediare a eventuali errori senza incorrere in sanzioni pesanti.  Il testo della nuova legge di stabilità, infatti, introduce alcuni significativi cambiamenti relativi al ravvedimento operoso, ovvero la possibilità di sanare la propria posizione fiscale prima della notifica di irregolarità da parte dell'Agenzia dell'Entrate. Dunque, a partire dal 2015 il contribuente potrà procedere all'autocorrezione fino al termine di accertamento, con la decadenza del privilegio se nel mentre riceverà avvisi di liquidazione e di accertamento e atti bonari, per un complessivo allungamento dei tempi a fronte di una riduzione degli interessi di mora, ovvero: 1/10 del minimo fino a 30 giorni dalla commissione della violazione; 1/9 del minimo fino a 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione; 1/8 del minimo entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno dell violazione; 1/7 del minimo entro il termine per la presentazione della dichiarazione successiva all'anno della violazione; 1/6 del minimo oltre il termine per la presentazione della dichiarazione successiva all'anno della violazione.

Economia

Dopo che per anni il popolo delle Partite Iva ha chiesto attenzione per la propria situazione ai vari governi che si sono succeduti alla guida del Paese, l'esecutivo di Matteo Renzi si è mosso, ma non nella direzione sperata. A partire da gennaio 2015, infatti, cambierà il regime dei minimi, con una serie di novità che in teoria dovrebbe dare aiutare i professionisti e la PMI, ma che - di fatto - mette nuovi paletti e limiti e, a confronto con il passato, inasprisce la pressione fiscale. Modifiche che non piacciono agli interessati, per i quali le due uniche note positive sono che la Legge di Stabilità che le contempla non è ancora stata approvata (e dunque le cose potrebbero cambiare) e che chi già rientra nel regime dei minimi non sarà interessato dalle nuove norme. Fino alla scadenza dei cinque anni di gestione o al compimento del trentacinquesimo anno di età, dunque, i possessori di Partita Iva con requisiti agevolati godranno dei benefici previsti e continueranno ad applicare l'aliquota del 5%. Le cose cambiano, invece, per i professionisti che apriranno Partita Iva nel 2015. Per prima cosa la permanenza nella condizione agevolata sarà vincolata al rispetto di massimali prefissati, pari a: 15 mila euro per i professionisti 20 mila euro per artigiani e imprese 40 mila euro per i commercianti (ingrosso e dettaglio) 30 mila euro per ambulanti di alimentari e bevande 20 mila euro per ambulanti di altri prodotti 40 mila euro per alberghi e ristoranti e il reddito sarà calcolato non sulla differenza tra ricavi e costi, ma forfettariamente, ovvero applicando un coefficiente (pari rispettivamente a 78%, 67%, 40%, 40%, 54%, 40% ) sulla somma algebrica ricavi+spese, e deducendo unicamente i contributi previdenziali versati nell'anno di imposta. Sulla cifra che viene così a formarsi sarà quindi applicata un'aliquota del 15%, mentre chi sforerà i massimali uscirà dal regime dei minimi 2015. Da ultimo, per il passaggio dal vecchio al nuovo regime dei minimi è prevista una fase di transizione, con la possibilità di mutare la propria posizione se le eventuali spese per i collaboratori non superano i 5 mila euro lordi, quelle per l'acquisto di beni strumentali non sono sopra a 20 mila euro e l'attività non rappresenta la mera prosecuzione di una precedente attività lavorativa di lavoro dipendente o autonomo.  

Economia

Il testo definitivo della Legge di Stabilità 2015 è (finalmente) pronto e, mentre il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan risponde a stretto giro di posta alla richiesta di chiarimento avanzata dall'Unione Europea circa la "deviazione significativa dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine (Mto, medium-term budgetary objective) per il 2015", dopo essere stato firmato dal presidente della Repubblica si avvia lungo la strada dell'iter parlamentare funzionale alla sua approvazione. Approvazione che se per alcuni aspetti sembra scontata, per altri si prospetta difficile. Il nodo della spending review a carico delle Regioni, infatti, è tutt'altro che sciolto e lo stesso può dirsi della questione dei cosiddetti Quota 96, ovvero il personale docente della scuola che ha maturato il diritto alla pensione tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2012 secondo la vecchia normativa, ma che per effetto della Riforma Fornero è costretto a rimanere in servizio fino al raggiungimento dei nuovi requisiti. L'ex ministro, infatti, non ha tenuto conto della specificità del comparto, dove l'anzianità di servizio è calcolata in base agli anni accademici, che decorrono appunto dal 1° di gennaio al 31 di agosto, e non a quelli solari. Un misunderstanding che riguarda circa 4 mila persone, per il quale però non è prospettata nessuna soluzione neppure nella nuova Legge di Stabilità: il testo del Governo, infatti, non contiene alcun cenno in proposito, nonostante l'interrogazione avanzata da Laura Puppato al ministro Padoan. La partita tuttavia non è chiusa: nel corso dell'iter parlamentare, infatti, la mancanza potrebbe essere portata all'attenzione delle Camere e sanata prima dell'approvazione della manovra. A restare in bilico è anche l'Iva. L'imposta sul valore aggiunto rappresenta una vera e propria scialuppa di salvataggio per l'Italia in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio fissati dalla UE: per evitare di incorrere in sanzioni, il Governo ha pronto un aumento di 2 punti dell'Iva nel 2016 per le aliquote al 10% e al 22% e di un ulteriore punto nel 2017, per un totale di 12,8 miliardi il primo anno e 19,2 miliardi nel 2017. Meno accidentata, per non dire perfettamente definita, è invece la strada dei provvedimenti relativi a Irap e Irpef, benché anche questi contengano più di un punto oscuro. Il tanto declamato taglio dell'Irap, che permette la deducibilità del costo del lavoro dall'imposta (pari a 5 miliardi per il 2014 e a 6,5 a regime) relativamente ai contratti a tempo indeterminato, azzera infatti la riduzione del 10% introdotta lo scorso anno con il Dl Irpef e così l'aliquota torna a essere del 3,9%. Un provvedimento che, come si capisce, avvantaggia pochi e danneggia invece le piccole aziende. Infine, il bonus Irpef di 80 euro diventa stabile in busta paga a partire dal 2015, ma la sua effettiva consistenza, pari a un massimo di 960 euro da gennaio a dicembre, varia in base ai requisiti (reddito complessivo inferiore a 24 mila euro oppure superiore a 24 mila euro ma inferiore e 26 mila euro) e ai giorni lavorativi nel mese, come specificato nell'Articolo 4 della Legge di Stabilità 2015.

Economia

La bozza c'è, ma dopo l'annuncio dello scorso 15 ottobre del testo finale non esiste traccia. E' un piccolo giallo quello che riguarda la Legge di stabilità 2014, anche se il premier Matteo Renzi ha rassicurato tutti sul fatto che le linee guida della manovra saranno presentate oggi al Quirinale per ricevere il benestare del presidente Giorgio Napolitano e arrivare così in Parlamento. In attesa di conoscere nel dettaglio i punti di una Legge che - almeno nelle parole del Governo - mira a rilanciare l'economia di un'Italia schiacciata tra tasse e balzelli sempre più gravosi e una disoccupazione (giovanile e non solo) stellare, è possibile tuttavia analizzare i provvedimenti principali, o perlomeno più attesi dai cittadini, a partire dalle due novità che promettono di rendere più pesante la busta paga, ovvero il bonus di 80 euro e il TFR. Per quanto riguarda il bonus di 80 euro, dopo l''esperimento' iniziato a maggio, Renzi ha annunciato che diventerà stabile (a fronte di una copertura necessaria di 7 miliardi) e che, per adempiere alle direttive UE, si trasformerà in 'detrazione'. Un escamotage economico e semantico che non cambia la sostanza per i lavoratori, ma per lo Stato, evitando di violare i parametri fissati dall'Unione Europea. Ma non solo: sempre in un'ottica di aiuto concreto alle famiglie (o di populismo, a seconda dei punti di vista...), il premier ha altresì anticipato che a partire da gennaio 2015 il bonus di 80 euro mensili sarà esteso alle neo mamme, che ne beneficeranno per un anno. Dal governo arrivano quindi conferme sull'altro punto oggetto di accese discussioni nelle ultime settimane, ovvero il trasferimento del TFR in busta paga, che ha ricevuto l'ok dalle banche e sarà finanziato con un fondo di garanzia da 100 milioni di euro, ma per ulteriori dettagli tutto è rimandato al testo definitivo della Legge Rimanendo in tema lavoro, intervistato domenica 19 ottobre da Lucia Annunziata a In mezz'ora, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha affermato: "Potrebbero essere 800 mila posti di lavoro a partire dal 2015 per tre anni", riferendosi alla parte della manovra di stabilità che prevede il taglio di 5 miliardi di Irap per agevolare le assunzioni a tempo indeterminato da parte delle imprese, che in questo modo sarebbero esentate per tre anni dal versare la componente contributiva a proprio carico. Misure per fare ripartire l'economia, ma - soprattutto - un mercato del lavoro a dir poco asfittico, che tiene conto (o almeno mostra di farlo) pure del grande popolo delle Partite Iva, in particolare quelle agevolate o in regime dei minimi. Per chi già rientra nella categoria non dovrebbe cambiare nulla - ma il condizionale è d'obbligo - mentre chi è titolare di Partita Iva per così dire tradizionale, se nel 2014 ha guadagnato tra i 15 e 40 mila euro (calcolati con l'applicazione di appositi coefficienti), ha avuto spese per il personale inferiori a 5 mila euro e al 31 dicembre 2014 dichiara un valore lordo dei beni strumentali non superiore a 20.000 euro, nel 2015 accederà a un nuovo regime dei minimi e pagherà un'imposta del 15%, ridotta al 10% se la partita Iva è aperta da meno di tre anni. Infine, per quanto riguarda il Fisco, l'Agenzia delle Entrate cambia registro e da spietato persecutore si trasforma in consulente, aiutando il contribuente ad assolvere ai suoi obblighi rispettando le scadenze e, in caso di violazione, offrendogli la possibilità di ricorrere a un ravvedimento operoso lunghissimo, ovvero con sanzioni modulate nel tempo e forti sconti per chi 'rimedia' entro 90 giorni dal superamento del termine.

Economia

Dopo lunga attesa, tutti coloro che vantano un credito commerciale nei confronti della Pubblica Amministrazione hanno la possibilità di vedersi corrispondere quanto dovuto grazie alla Piattaforma di certificazione dei crediti predisposta dal MEF. Lo Stato infatti ha stanziato 57 miliardi di euro per saldare le pendenze dei suoi Enti per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali nei confronti di persone fisiche e giuridiche e partecipa in modo attivo in qualità di garante. Ma come funziona nello specifico la procedura? Il processo di certificazione ha inizio con l'iscrizione del creditore (o di un suo delegato) sull'apposita piattaforma predisposta dalla Ragioneria dello Stato: una volta registrato, il richiedente può avanzare un'istanza per la certificazione del credito vantato nei confronti della Pubblica Amministrazione e quest'ultima ha tempo 30 giorni per rilasciarla, con specificata la data entro la quale procederà al pagamento. Se ciò non avviene, il creditore, sempre attraverso la piattaforma, può domandare all'Ufficio Centrale di Bilancio o alla Ragioneria Territoriale dello Stato di nominare un commissario ad acta, "che sarà incaricato di provvedere, senza oneri a carico del richiedente, al rilascio della suddetta certificazione al posto della PA". Ottenuta la certificazione, il creditore ha davanti a sè tre strade: attendere il pagamento da parte della Pubblica Amministrazione entro il termine di scadenza delle istanze stabilito, effettuare la cessione totale o parziale del credito allo Stato, che funge da garante 'acquistando' il debito dalla PA a un tasso vantaggioso (1,9% oppure 1,6% per somme superiori a 50 mila euro) e liquidandolo - in teoria - in tempi mediamente più rapidi, oppure utilizzarlo per compensare eventuali debiti nei confronti dell'Erario. Tutte e tre le opzioni possono essere attuate gratuitamente attraverso la Piattaforma di certificazione dei crediti, rispettando le modalità di presentazione delle varie richieste dettagliata in modo specifico nella guida e nelle FAQ presenti nella home del sito certificazionecrediti.mef.gov.it, al quale si rimanda per ogni approfondimento, e ricordando che è possibile presentare le istanze in qualsiasi momento, ma che per beneficiare della garanzia dello Stato è necessario fare domanda entro il 31 ottobre 2014.

Economia

La deflazione rilevata in l'Italia nel mese di agosto è il segnale dell'inasprimento della situazione di crisi che morde il Belpaese da mesi o può essere definita un 'falso positivo'? Dopo i dati resi noti dall'Istat, in base ai quali l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ad agosto 2014 è sceso dello 0,1% rispetto al medesimo periodo dell'anno passato, la domanda rimbalza tra addetti ai lavori e non solo e la risposta - purtroppo - non è univoca. Se da un lato, infatti, il nuovo direttore dell'Istituto Nazionale di Statistica, Giorgio Alleva, getta acqua sul fuoco, spiegando che il -0,1% dell'indicatore dei prezzi al consumo è da imputarsi alla flessione su base annua dei beni energetici, passati dal più 0,4% di luglio al -1,2% di agosto per la 'fisiologica' diminuzione del costo dell'energia, cresciuto a dismisura la scorsa estate, dall'altro il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble esprimono "preoccupazione". "La situazione economica è drammatica", ha dichiarato infatti il numero uno dell'associazione degli imprenditori italiani, sottolineando che "la crescita, che è l'unico modo per creare lavoro, non può arrivare che dall'impresa" e facendo una fosca previsione: "A meno di un miracolo, avremo un altro dato negativo come nel 2012 e 2013", mentre l'omologo di Padoan ha criticato l'operato della BCE, accusandola di avere immesso troppa liquidità sui mercati. In un'intervista-approfondimento a Il Sole 24 Ore, Alleva ha chiarito che la deflazione che ha interessato il Belpaese nel 1959 (l'ultima registrata fino allo scorso agosto) si è manifestata "in una fase di crescita" e che quella di oggi avverrebbe invece in una di recessione, ma che comunque "non esistono gli elementi per parlare di ingresso in un regime deflazionistico dell'Italia. Solo l'eventuale persistenza di un fenomeno del genere potrebbe consentirci di discutere dei rischi collegati a un regime di deflazione". Per valutare lo stato di salute dell'economia dello Stivale, dunque, bisognerà attendere le prossime rilevazioni Istat, ma lo scenario non è lo stesso roseo, dal momento che il tasso di variazione annuale dei prezzi è in calo da 4 mesi (rispetto ai 7 che hanno portato alla contrazione dei prezzi del 1959). Causata a monte dalla maggiore propensione al risparmio dei consumatori, che fanno così fronte a un ridotto potere d'acquisto, la deflazione porta a una progressiva diminuzione dei prezzi, costringendo le aziende a 'svendere' la merce, incassando sempre meno e ritrovandosi nell'impossibilità di assumere nuovo personale, se non, addirittura, nelle condizioni di dover operare dei tagli. Un vero e proprio circolo vizioso, che impedisce di fatto il rilancio della produzione industriale e la crescita economica, anche se non manca chi nella deflazione vede un'occasione di ripresa, interpretandola, al contrario, come un'opportunità per investire eventuali risparmi da parte di imprese e consumatori, facendo così ripartire i consumi e innescando un circolo virtuoso. Una lettura che però si scontra con una realtà dove i tassi ai minimi storici - conseguenza della "troppa" liquidità immessa dalla BCE sui mercati - rende poco remunerativo per le banche e gli istituti di credito prestare denaro a imprenditori e privati, bloccando di fatto qualsiasi possibilità per l'economia italiana e non solo di ripartire.

Economia

Gli assegni familiari sono un sostegno garantito dall'Inps ad alcune categorie di lavoratori e pensionati italiani, comunitari ed extracomunitari residenti in Italia, con reddito annuo inferiore a quanto stabilito annualmente dallo Stato. In particolare, possono farne richiesta coltivatori diretti, coloni e mezzadri ed ex artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri che percepiscono la pensione dalle gestioni speciali dei lavoratori autonomi. Gli assegni spettano per ogni familiari vivente a carico, ovvero: il coniuge (anche se legalmente separato); i figli anche se non conviventi e i fratelli, le sorelle e i nipoti conviventi, fino a 18 anni di età, apprendisti o studenti di scuola media inferiore (fino a 21 anni), universitari (fino a 26 anni e nel limite del corso legale di laurea) e inabili al lavoro (senza limiti di età); gli ascendenti ed equiparati, nel caso in cui il richiedente è piccolo coltivatore diretto; i familiari di cittadini stranieri che vivono in Paesi che prevedono una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia e sono pari a 8,18 euro mensili per per i figli ed equiparati di coltivatori diretti, coloni, mezzadri, 10,21 euro mensili per i lavoratori autonomi a carico di pensionati delle gestioni speciali e per il coniuge, i figli ed equiparati dei piccoli coltivatori diretti e a 1,21 euro mensili per i genitori ed equiparati dei piccoli coltivatori diretti. La domanda di assegni familiari può essere fatta esclusivamente per via telematica, dal sito inps.it per i cittadini muniti di PIN, utilizzando il servizio Invio OnLine di Domande di prestazioni a Sostegno del reddito, tramite contact center, dal numero 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 a pagamento da rete mobile, oppure rivolgendosi ai patronati. Per maggiori dettagli si invita a consultare la guida agli assegni familiari e alla loro richiesta presente sul sito inps.it, seguendo il percorso Informazioni/Prestazioni a sostegno del reddito/Assegni familiari.

Economia

Chi ha paura del (secondo) default dell'Argentina? Nessuno. O quasi. A subire le conseguenze più pesanti del mancato pagamento dei 539 milioni di dollari di interessi ai sottoscrittori dei titoli del debito argentino ristrutturato nel 2005 e nel 2010 saranno gli abitanti, che andranno incontro a un aumento dei tassi di interesse e dell'inflazione e dovranno fare i conti con un taglio drastico della spesa pubblica e una borsa vaso di coccio tra quelli di ferro degli altri Paesi, mentre investitori e mercati stranieri non ne saranno pressoché toccati. Il mancato contraccolpo internazionale si deve al fatto che dal 2001, anno del primo deafult dell'Argentina, il Paese è stato praticamente tagliato fuori da ogni tipo di operazione finanziaria, con il risultato che oggi a risentire della bancarotta di luglio 2014 saranno 'solo' coloro che già 13 anni anni fa hanno visto decurtato dei 2/3 il valore dei propri titoli (tra cui circa 400 mila italiani), con una percentuale bassissima - per non dire inesistente tout court - di nuovi investitori. Nonostante l''isolamento' dell'Argentina dai mercati internazionali, tuttavia, secondo gli analisti il default dello Stato guidato da Cristina Fernandez Kirchner potrebbe avere effetti negativi sulla moneta dei Paesi emergenti: "La fiducia degli investitori potrebbe venire meno, portando a una fuoriuscita di capitali dall'Argentina con un potenziale effetto contagio sui Paesi emergenti, le cui divise e listini azionari potrebbero risentire nel medio periodo a causa di un meccanismo di trasmissione, che parte da un mix di aspettative per l'uscita definitiva da parte della Federal Reserve dal tapering e di potenziali effetti di fuga da rendimenti alti", ha spiegato infatti lo chief analyst DailyFX (FXCM) Matteo Paganini, secondo quanto riporta Finanzaonline. Un circolo vizioso, del quale l'Argentina sarebbe la miccia, con il rischio di vedere svalutata ancora la propria moneta (già pesantemente penalizzata nel cambio con dollaro ed euro e da un'inflazione ai massimi storici) e sospesa in una specie di 'limbo economico', in cerca di una soluzione alla disputa che l'ha portata al secondo fallimento in poco più di 10 anni. Diversamente che nel 2001, quando il default è stato dichiarato per l'impossibilità del Paese di pagare i propri creditori, questa volta infatti l'Argentina avrebbe potuto saldare i conti nei confronti dei possessori di titoli che hanno accettato la ristrutturazione del debito andato in bancarotta 10 anni fa, pari al 93% del totale, ma il restante 7% che invece non ha accettato gli accordi l'ha impedito. Questi fondi, chiamati anche fondi avvoltoi, chiedono infatti la restituzione piena degli investimenti e degli interessi maturati alla stregua degli altri creditori ma, come è facile intuire, l'Argentina non possiede i mezzi economici per soddisfarli. Fallita la mediazione di Daniel Pollack, nominato dal giudice statunitense Thomas Griesa, che ha riconosciuto le ragioni dei fondi che non hanno accettato la ristrutturazione del debito, ora non resta altro che aspettare e vedere se la 'diplomazia delle banche' porterà a una svolta nella situazione. Quello che è certo, comunque, è che l'Argentina molto difficilmente, per non dire affatto, si piegherà alle richieste dei fondi avvoltoi: non solo per un'impossibilità oggettiva di soddisfare le loro condizioni, ma anche per non avvallare un pericoloso precedente.

Economia

Il 30 giugno 2014 per esercenti, commercianti, professionisti e aziende è scattato l'obbligo del pos: tutti coloro che esercitano un'attività che comporta la vendita di prodotti e servizi devono cioè garantire ai clienti la possibilità di pagare con il bancomat gli acquisti superiori a 30 euro. Una vera e propria rivoluzione, che se da un lato ha dei vantaggi oggettivi "in termini di tracciabilità dei pagamenti e lotta all'evasione" ed è "un ampliamento e un'agevolazione a favore del cittadino, che disporrà di un ulteriore metodo di pagamento", come spiega Federconsumatori, dall'altro rappresenta un onere non indifferente per chi l'obbligo lo subisce: "I costi di esercizio saranno di 1.032 euro (compresi il Pos e la linea telefonica), quelli per le commissioni di 650 euro", avvisano da Confesercenti. Un nuovo onere al quale il già tartassato sistema della PMI nazionale non ha intenzione di sottostare e che, almeno allo stato attuale delle cose, può in effetti essere 'aggirato': il Dl 179/2012, articolo 10, comma 4 che stabilisce il pos obbligatorio, infatti, non prevede sanzioni in caso di violazione e lo stesso Ministero dell'Economia e delle Finanze con il prot. n. D/825 del 10 giugno 2014 ha avvallato la tesi secondo la quale la norma non introduce un "obbligo", ma un "onere". Fino a nuove comunicazioni, dunque, esercenti, commercianti, professionisti e aziende che non saranno in regola con l'adozione del bancomat non incorreranno in alcuna multa, ma potranno trovarsi nella condizione di perdere uno o più clienti intenzionati a pagare con moneta elettronica o di vedere ritardare i pagamenti. Come spiega infatti una circolare dell'Ordine forense: "Qualora il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito e l'avvocato ne fosse sprovvisto, si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore che, come è noto, non libera il debitore dall'obbligazione". Che tradotto in 'soldoni' significa che il cliente ha l'obbligo di effettuare il pagamento (naturalmente), ma il rischio per il creditore è di riceverlo dopo il previsto. Il consiglio, dunque, è di indicare sempre in parcella tutte le alternative per il saldo dei servizi resi e/o della merce venduta, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti.

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